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recensioni di Luca Barachetti – lucabarachetti@gmail.com

Elegia – Paolo Conte (Warner, 2004)

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Alla fine l’aridità d’ispirazione non ha avuto il sopravvento e Paolo Conte dopo nove anni (e il bel progetto RazMataz in mezzo) torna a licenziare un disco di canzoni nuove dal titolo quantomai incisivo: Elegia. Cioè, a rigore di dizionario: “genere letterario di contenuto malinconico, triste, funebre”. Che alla soglia dei settantanni Conte decida di intitolare così un disco non è di certo un caso; se oltre a questo c’è nel disco stesso una canzone, prima ed omonima, che sembra voler tracciare un bilancio artistico ed esistenziale della vita di chi l’ha scritta, allora quello che potrebbe essere poco più di un titolo azzeccato può diventare la chiave di lettura dell’intera opera. Con questo non si vuole dire che Paolo Conte sia diventato improvvisamente un cantautore (italiano) classico, sull’onda dei Guccini o dei De Gregori, di certo però in Elegia all’usuale e nostalgico ricordo di un tempo che ormai non c’è più si accompagna, mai come ora, una certa tensione verso il futuro indefinito e, Chissà (“enigma…fantasia…”), verso ciò che sta dopo la vita futura. Insomma ci sono ancora, e ancora sono emozionanti, tutti i riferimenti culturali, le situazioni, i personaggi che hanno segnato la carriera artistica del cantautore astigiano (dalle avanguardie parigine di inizio secolo all’Italia degli anni cinquanta), ma qua e là si insinua un moto esistenziale, d’inquietudine profonda, più forte che in passato, presente nelle già citate Chissà ed Elegia (“cosa sarà di me?”), ma anche in Molto lontano, nella  vecchia tristezza di “una coppia in silenzio che beve l’assenzio del tempo ladron” de La nostalgia del Mocambo, o nelle parole scaccia-insonnia di Sonno elefante. Canzoni che, tra le altre cose, sono le migliori del disco insieme a pezzi più tipicamente contiani come Il regno del tango e Sandwich man.

Musicalmente poi è il “solito” Paolo Conte, egregio artigiano di melodie e finissimo arrangiatore, qui più chansonnier che jazzman (l’unico pezzo davvero jazzato è Frisco), accompagnato da musicisti di primordine (soprattutto ai fiati e alle percussioni) ma protagonista non invadente col pianoforte. E se un disco di Paolo Conte non è tale senza una canzone d’amore che scoraggi ogni speranzoso scrittore, qui c’è Bamboolah, così tanto amara, disperata e ciondolante da far ricordare Piero Ciampi, pur con tutte le necessarie differenze formali. L’accostamento potrà sembrare insolito, ma in Elegia scorre discretamente tra le righe, scavando a fondo, un intenso sentimento di morte.

Voto: 8.3
Brani migliori: Elegia, Molto lontano, Bamboolah.

Written by Luca

17/12/2007 a 14:50

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