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recensioni di Luca Barachetti – lucabarachetti@gmail.com

Il vuoto – Franco Battiato (Mercury, 2007)

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Sono almeno due i difetti evidenti di questo venticinquesimo disco in studio di Franco Battiato. Il primo è che tra i suoi ventiquattro predecessori  Il vuoto trova almeno tre o quattro capolavori con cui gli è davvero difficile confrontarsi, pena l’essere additato come lavoro inevitabilmente minore. Il secondo è che lasciati da parte i confronti – a dire il vero un po’ impietosi se applicati ad un artista tenutosi sempre e comunque su buoni livelli nel corso di quasi quarant’anni di carriera – e lasciato da parte anche il suo essere un capitolo minoritario, Il vuoto (come il precedente X stratagemmi) non sposta di un millimetro il discorso musicale dell’artista catanese.

Dunque, passi pure il primo difetto ma con il secondo che facciamo? Il vuoto, pur non rispettando il facile doppio senso indotto dal titolo, è un disco fondamentalmente inutile. Che ripesca amori più o meno vecchi riassumendoli tra loro con stile e dignità (l’elettronica, la musica cameristica, qualche spruzzata etnica); che concentra l’attenzione su tematiche per lo più filosofiche (o simil-tali: a volte, come nella title-track, più di facciata che altro) andando a stilare una sorta di vademecum esistenziale sui tempi che corrono con largo uso di immagine naturalistiche; che smussa decisamente i passaggi più astrusi a favore di dinamiche assai comunicative e pop (partecipano il quartetto femminile MAB, i sanremesi FSC e pure due Uzeda). Ma che si fa attendere un po’ troppo nell’assestare la stoccata decisiva e alla fine lascia un senso di incompiuto perché, letto il nome Battiato in copertina, viene da dire che sì, si poteva fare di più, eccome.

La stoccata arriva solo alla traccia sei, dopo il mezzo sussulto di Aspettando l’estate (incipit quasi battistiano, richiami a Ferro Battuto e tromba a cesellare di malinconia un ritornello già perfetto di suo), ed è una The game is over dal passo technoide e dalle sfumature a metà tra l’etnico e l’orchestrale, che in coda accelera rumorosa e sintetica arrivando a un passo dal dance-floor. Il resto se ne va tra stinte reminescenze da L’imboscata e Come un cammello… (Tiepido aprile, Era l’inizio della primavera) e qualche buono spunto che si incarta senza troppo osare (Niente è come sembra, Stati di gioia); mentre Io chi sono prova una versione italica dell’Eno di “Another day on earth”. Certo, se uscissero tutti i giorni dischi così la vita sarebbe più bella, perché comunque Battiato è Battiato. Ma appunto per questo che mezza delusione un disco così di routine, così di passaggio.

Voto: 6.0
Brani migliori: The game is over.

Written by Luca

24/03/2008 a 18:26

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